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Verrà collocata all’Upcycle Bike Café di Milano la prima serra idroponica da cucina monitorata da un’app sullo smartphone. Un orto portatile e sofisticato, per coltivare erbe di campo, spezie e ortaggi anche esotici. A chilometro zero e bio.

A fine novembre, chi va all’Upcycle, il cycle café che a Milano ha fatto da capofila nella felice contaminazione tra food e bicicletta, potrà mettere una serra a cena. Una piccola serra esagonale a vista, collegata a un’app, con capsule che contengono semi botanici, LED che emettono luce solare, l’unica incombenza di darle acqua, consentirà alla chef Francesca Baccani,già traduttrice e cantante jazz, di avere erbe officinali e germogli che, per arrivare a questi fornelli, avrebbero dovuto viaggiare da lontano.

 

La mini serra, all’insegna del Semina, Collegati, Ama, altro non è che la risposta portatile, a metà tra Nespresso e iTunes, alle fattorie verticali giapponesi e ai tunnel della metropolitana riciclati a orti sotterranei di Londra. L’idea di dare alla botanica una versione 2.0 è di un gruppo di professionisti già amici del liceo: l’architetto Giampiero Peia, lo studioso di intelligenza artificiale Mimmo Cosenza, il nipote Harald, e Massimo Massironi esperto di luci, tecnologia, sensori.

“Linfa”, ci dice Giampiero Peia nel suo studio di Milano – la sua seconda base, dal 2003, è Doha, in Qatar dove ha appena terminato la Z-Lounge, il club-lounge più alto dell’Emirato, “è la prima serra idroponica a forma esagonale”, geometria ricorrente negli stucchi arabeggianti, derivata dalla forma degli alveari, “che eleva a design precedenti esperimenti di minor profilo”. Prototipo già da due anni, premiato da Intesa San Paolo nell’ambito di ReInvent Food 2014, Linfa nasce con la collaborazione della facoltà di Scienze Agrarie e Biotecnologie Vegetali della Scuole Superiore Sant’Anna di Pisa “che ci ha fornito i protocolli di crescita”.

Senza terra, con il solo obbligo di darle acqua, la serra ti permette di coltivare i pomodori di Pachino anche fuori dalla Sicilia, nella cucina di casa o di un ristorante. Il profilo della pianta è precaricato nell’app. Una volta scelto il pomodoro o gli altri ortaggi e collocata la capsula con i semi nella mini serra, sarà il software a monitorarne la crescita regolando la luce, la temperatura, l’umidità necessarie, a prescindere dalle condizioni reali, a qualsiasi latitudine.

Le implicazioni sono enormi: le piante così coltivate non subiscono contaminazioni con sostanze chimiche o falde potenzialmente inquinanti. Gli esagoni possono diventare il modulo di librerie, cambiare forma e diventare parte integrante e intrigante di una cucina o di una cantina a vista, diventare orto verticale e rendere fertile “la quinta faccia”, il tetto non altrimenti utilizzato di vecchi o nuovi edifici. I moduli Linfa possono servire i gusti strambi di chef con la passione per la frutta amazzonica o per le bacche artiche, cedere i nutrienti per preparare un SuperFood, addirittura curare se si imposta l’app con il minerale di cui siamo carenti. Anche fornire erbe aromatiche ai barman alle prese con nuovi cocktail. Eliminare costi di packaging e di trasporto se adottati da un supermercato. Ridurre la dipendenza dalle importazioni nel caso di resort sviluppati sulle isole, come alle Maldive. Certo, è necessario che il gioco piaccia. “E che, a un certo punto, di notte, una volta impostato il ciclo circadiano, la pianta possa anche riposare, un obiettivo che si raggiunge con l’emissione di luce verde”.

A breve collocato tra la bicicletta del mese, le magliette ciclistiche e i libri a tema, nell’ex garage occupato adesso da Upcycle, “il robot buono” Linfa costa € 200 ed è fatto esternamente di un materiale termoplastico ma può essere personalizzato con legno, acciaio o una miscela di sughero. Rappresenta anche la nuova frontiera del biologico: “del superBio”, specifica Peia, “visto che ciò che è prodotto all’interno della serra idroponica non è contaminato, ma non può attualmente essere certificato come biologico”. Quanto poi ciò che cresce in serra, con i ritmi circadiani forzati, seppure votati al raggiungimento della qualità, in compagnia di un software e di un’app possa piacere agli ortaggi, resta da vedere. Lasciamo alla chef e ai ciclisti di Upcycle la non semplice sentenza.

 

Fonte: Correire.it

 

 

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