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Dall’1 gennaio 2017 chi investe in startup può usufruire degli incentivi Irpef e Ires per un terzo dell’importo versato. Qui vi spieghiamo chi può usufruirne e, sopratutto, come.

 

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Nel corso degli ultimi due decenni abbiamo imparato a conoscerla con diversi nomi: manovra, finanziaria, legge di stabilità e, in ultimo, legge di bilancio. E’ una legge che si compone di due sezioni, di fatto due articoli, divisi a loro volta in centinaia di commi. Tra le tante leggi approvate dal Parlamento è quella più importante dell’anno per il Governo, poiché dalle politiche fiscali, sociali, previdenziali, ma non solo, è quella che influenza l’agenda politica per i successivi 365 giorni. E nel caso di provvedimenti strutturali anche più di un anno.

Una premessa di carattere tecnico (e politico) necessaria, perché a dicembre 2016 l’approvazione della legge di bilancio era quasi passata in sordina a causa del passaggio di testimone tra Matteo Renzi e Paolo Gentiloni alla guida del Governo all’indomani della sconfitta al referendum costituzionale. Eppure la legge conteneva e contiene novità parecchio interessanti a sostegno delle startup e delle piccole medie imprese innovative. Tutte misure che sono già in vigore dal primo gennaio di quest’anno. E su tutte, gli incentivi. La possibilità per chi investe in startup e pmi innovative di poter usufruire di detrazioni fiscali di un terzo dell’importo investito.

Detrarre dalle tasse gli investimenti in startup

Una misura, in vero, già prevista dal decreto con cui, nel 2014, il Mef aveva disciplinato la detrazione Irpef (l’imposta, diretta, sul reddito delle persone fisiche) del 19% o una deduzione Ires (l’imposta, proporzionale, sul reddito delle società) del 20%.

La nuova legge di bilancio, dai commi 66 a 68, prevede l’estensione e il rafforzamento di tali agevolazioni. Infatti viene innalzata al 30% e fino a 3 anni sia la quota detraibile annualmente dall’Irpef in capo ad uno stesso soggetto a un milione di euro, che le deduzioni Ires (fino a 1,8 milioni), indipendentemente dalla tipologia di startup innovativa beneficiaria dell’investimento.

Tradotto, il nuovo socio persona fisica o impresa che entra nel capitale di una startup, potrà “scontare” dalle proprie tasse un terzo della somma versata nell’aumento di capitale. Ovviamente, per i redditi 2017, quindi non nella prossima dichiarazione dei redditi ma in quella del 2018.

Come ottenere le agevolazioni fiscali

Per poter beneficiare delle agevolazioni, valgono le condizioni già previste dall’art. 5 del D.M. Mef 30 giugno 2014. Per lo più, il socio/investitore dovrà chiedere alla startup copia di una serie di documenti e certificazioni che questi dovrà produrre in sede di redazione del modello Unico, trai quali:

  • Certificazione che attesti il rispetto dei limiti massimi per i conferimenti relativamente al periodo di imposta in cui è stato fatto l’investimento;
  • Piano di investimento della startup, contenente le informazioni dettagliate sull’oggetto della propria attività, sui prodotti e sull’andamento (attuale o previsto) delle vendite e dei profitti.

Gli effetti delle agevolazioni sull’Open innovation

Sempre a proposito di incentivi fiscali che, seppur indirettamente, vanno a impattare il mercato delle startup, va segnalata anche una misura che probabilmente nel 2017 darà grande slancio all’open innovation in Italia. Infatti, i 4 commi che vanno dal 76 all’80, introducono nuove e importanti misure in materia di perdite fiscali delle imprese neo costituite che sono partecipate da società quotate.

La legge stabilisce, infatti, la possibilità per le società quotate che possiedono almeno il 20% e non più del 50% delle quote di una startup, di acquistare le perdite della stessa utilizzandole in diminuzione del reddito complessivo dei periodi d’imposta successivi entro il limite del reddito imponibile e per l’intero importo. Le perdite di riferimento sono quelle formatesi nei primi 3 anni di esercizo della startup, quindi gran parte del ciclo di vita.

Ovviamente, dovranno sussistere alcune condizioni:

  • le azioni della società cessionaria o della società che controlla direttamente o indirettamente la società cessionaria, devono essere negoziate in un mercato regolamentato o in un sistema multilaterale di negoziazione di uno degli Stati membri dell’Unione europea e degli Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo con il quale l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni;
  • il rapporto di partecipazione deve prevedere una percentuale del diritto di voto esercitabile nell’assemblea ordinaria e di partecipazione agli utili non inferiore al 20%;
  • la società cedente non deve svolgere in via prevalente attività immobiliare;
  • la cessione deve riguardare l’intero ammontare delle perdite fiscali;
  • la società cedente e la società cessionaria devono avere un esercizio sociale coincidente;
  • il requisito partecipativo del 20% deve sussistere al termine del periodo d’imposta relativamente al quale avviene la cessione delle perdite fiscali;
  • la cessione deve essere perfezionata entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi.

Perché sì, perché (ancora) no

Piano per l’Industria 4.0, Spid e digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, piccole innovazioni come la possibilità di poter creare nuove startup online e senza notaio, o grandi, come la costituzione del Team sulla trasformazione digitale guidato da Diego Piacentini e Paolo Barberis. E, adesso, gli incentivi per gli investimenti in startup. Se viste insieme, quelle adottate nel corso 2016 sono novità e misure che potremmo definire “di sistema”, non per forza organiche tra loro ma che comunque viaggiano tutte nella stessa direzione: portare l’Italia a poter competere se non alla pari quanto meno in maniera più incisiva nei mercati internazionali ed europei.

«La richiesta di rendere più competitivo l’incentivo sulle startup – spiega il presidente di Italia Startup, Marco Bicocchi Pichi – deriva dal confronto internazionale ed è stato ascoltato dal governo su segnalazione delle associazioni e si inserisce in uno scenario europeo in cui arbitraggio fiscale e arbitraggio normativo sono di fatto realtà. Ed è forse anche uno degli ostacoli a una vera Unione Europea quello di non avere omogeneità nei trattamenti fiscali per le imprese. In Italia la debolezza del mercato finanziario c’è tutta e questa è dovuta a due grandi macigni, la mancanza di capitali e il debito pubblico. È chiaro che non possiamo uscirne se non con un grosso commitment dei privati sull’economia». A partire dalle grandi famiglie di impreditori cui il presidente dell’associazione delle startup italiane si era appellato.

Parlare di incentivi per gli investitori privati vuol dire parlare alla pancia e al portafogli dei business angels. Tant’è che come aveva anticipato a Startupitalia il Presidente di Lventure, Luigi Capello, molti round di investimento che sono stati costruiti lo scorso anno saranno definiti nelle prime settimane di quest’anno, perché così i business angels potranno beneficiare degli incentivi. «Durante l’audizione in parlamento a febbraio abbiamo proposto di innalzare gli sgravi fiscali per chi investe in startup, che allora erano al 19%, in modo da avvicinarsi agli standard degli altri Stati europei», ricorda il presidente di Iban, una delle principali associazioni di business angels italiani, Paolo Anselmo. «La Legge di Bilancio 2017 li ha portati al 30% a dimostrazione dell’attenzione molto positiva del Governo e del Mise, sempre aperto e disponibile alle istanze del ecosistema, verso le imprese innovative. Stiamo a vedere se questo permetterà nel 2017 di far decollare gli investimenti in startup».

In vero alcuni, come ad esempio Digital Magics, auspicavano l’innalzamento della quota detraibile al 50%. «Ma il 30% è un primo passo», ha commentato, nel corso di un’altra nostra intervista, Alberto Fioravanti. Cosa manca? Per Bicocchi Pichi il confronto va fatto «non coi paesi che vanno quasi o come noi, ma con chi viaggia molto più veloce». E spiega: «Brexit o non brexit, il total tax rate italiano rimane circa il doppio di quello inglese. Possiamo anche dire che noi vogliamo competere con paesi più simili al nostro come Francia o Germania. Simili ma diversi. Ma per crescere devi guardare a chi corre più veloce di tutti».

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